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Assemblea

ASSEMBLEA 2015: LETTERA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE AMBROSI

22-06-2015

"Dobbiamo imparare ad essere più presenti e più propositivi per portare ovunque la nostra voce, la voce di chi fa impresa e crea lavoro e ricchezza"


Cari Amici, cari Soci

è bello ritrovarsi a Roma per festeggiare il nostro settantesimo compleanno!
Quella di oggi è un’assemblea un po’ speciale e prevede molte belle sorprese, che scopriremo insieme nel corso del pomeriggio e della serata.

Questa manifestazione arriva quando si cominciano a vedere timidi segnali positivi, dopo mesi di crisi.
Abbiamo vissuto anni difficili, che hanno portato ad una profonda ristrutturazione del nostro settore, a tutti i livelli: in campagna, tra le nostre imprese e nel mondo della distribuzione. Molti stabilimenti, anche di marchi importanti, sono stati costretti a chiudere i battenti.

Per comprendere quale terremoto abbia colpito il Paese e le nostre aziende scorriamo velocemente alcuni dei principali indicatori macroeconomici, che certificano – qualora ce ne fosse bisogno – quanta strada abbiamo perso e quanta dovremo farne, per recuperare il tempo perduto.

Gli ultimi dieci anni hanno visto sfumare il frutto di tanti anni di lavoro. La capacità produttiva del Paese si è ridotta in modo sensibile. Anche durante il 2014, il prodotto interno lordo italiano ha continuato a diminuire e oggi siamo quattro punti sotto il valori di dieci anni fa.

Sul fronte occupazionale, poi, abbiamo subito colpi durissimi. Lo scorso anno, il tasso di disoccupazione ha raggiunto la soglia del 13,7%, la più alta degli ultimi 30 anni, con punte drammatiche nel Mezzogiorno.
Bastano questi tre dati per comprendere i colpi che la crisi ha inferto al nostro sistema Paese.
L’incapacità di trovare soluzioni ha avuto effetti drammatici sul livello di fiducia degli Italiani, che sono spaventati per il futuro e lo dimostrano riducendo i consumi ed aumentando la propria propensione al risparmio: gli acquisti domestici sono ai minimi storici.

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Questo atteggiamento prudenziale non ha risparmiato il settore alimentare e tutti ritengono che il calo dei consumi non sia un fenomeno contingente, ma un vero e proprio riposizionamento strutturale.

Si compra di meno e si sceglie di più, facendo massima attenzione alle offerte e al rapporto prezzo/qualità, si spreca di meno e si sta di più in casa, riducendo ulteriormente le spese, anche quella alimentare. E tutti dicono che l’acquisto di impulso - soprattutto dei beni di consumo – difficilmente tornerà sui livelli del passato.

Latte, burro, formaggi e yogurt non fanno eccezione a questa regola. L’ultimo rapporto COOP afferma che nel giro di soli 4 anni, la spesa per latte e formaggi è diminuita del 12%. E i dati delle principali società di rilevamento degli acquisti confermano che sono ben pochi i prodotti che mostrano segni positivi.

Per i nostri prodotti, il fenomeno non è legato solo alla crisi economica, ma ad un mix di fattori, che abbiamo avuto modo di approfondire, anche grazie ad uno studio commissionato ad Human Highway, società specializzata in questo tipo di analisi.

Ebbene, lo studio ha chiarito che gli Italiani promuovono a pieni voti i nostri prodotti e che l’80% degli intervistati consuma in modo regolare il latte, alimento quasi sempre associato in modo spontaneo a valori positivi e a un immaginario di bontà e salute.

Lo studio ha anche misurato il fenomeno dei cosiddetti anti-milk, persone che non si avvicinano ai nostri prodotti, per ragioni riconducibili a motivazioni le più varie e talvolta fantasiose. Si tratta di una minoranza di persone – circa il 4% degli intervistati - che per ragioni culturali o per proprie convinzioni si sono allontanate dal latte, dai formaggi, dai latti fermentati.

Lo studio ha chiarito, infine, che il mondo degli indecisi è molto vasto: circa il 40% degli intervistati, infatti, non ha le idee chiare. Dobbiamo quindi tenerli “sotto osservazione”, informarli meglio e di più, per evitare che si facciano convincere dai nostri detrattori e che abbandonino i nostri prodotti.
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La crisi dei consumi non riguarda le nostre vendite all’estero, dove latte e formaggi continuano a crescere.

Lo scorso anno abbiamo superato le 330.000 tonnellate di formaggi esportati e sfondato il muro dei 2,5 miliardi di euro complessivi, con una crescita del 3,3% in volume e quasi del 5% in fatturato.

Oramai un terzo della nostra produzione casearia varca i confini nazionali e il fatturato che realizziamo all’estero è quasi il 17% di quello ottenuto dalle nostre aziende.

Sono risultati importanti, arrivati nonostante la battuta d’arresto che nostro malgrado abbiamo vissuto a causa dell’embargo russo.

Pur non essendo ancora una destinazione chiave per il nostro Paese – prima del blocco, rappresentava poco più del 2% dei volumi totali esportati – la Russia è un mercato promettente e con tassi di crescita sostenuta, che dava risultati molto interessanti.

L’inatteso stop ha creato non pochi problemi alle aziende che avevano investito per crescere, raggiunto volumi di affari interessanti e che da un giorno all’altro hanno dovuto cercare nuove destinazioni. Oltre ad aver dato il colpo di grazia al mercato mondiale.

Speriamo che la diplomazia faccia il suo corso e che nel giro di qualche mese le frontiere possano riaprire. La “fame” di latte e formaggi di qualità è molta e sono pochi i Paesi che possono accontentarla.

L’export quindi ha chiuso con risultati positivi il 2014 ed è cominciato altrettanto bene nel 2015, con nuovi aumenti, legati anche alla rivalutazione del dollaro sull’euro, che ha reso i nostri formaggi più convenienti ed ha favorito le nostre vendite nel mondo.

Abbiamo quindi raggiunto livelli importanti, che solo pochi anni fa sembravano impensabili, ma non dobbiamo accontentarci.

Se in percentuale la Germania esporta poco meno del doppio e la Francia il 50% di più di quel che noi riusciamo a fare vuol dire che si può fare di più. Abbiamo ancora ampi margini di crescita.

Certo, dovremo moltiplicare i nostri sforzi ed è probabile che la fine delle quote latte porterà molti Paesi a produrre di più. I nostri concorrenti potranno quindi disporre di più latte da trasformare e aumenterà la pressione competitiva esercitata nel mondo sui nostri prodotti.
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La crisi economica e dei consumi ha coinciso con quella della politica. Nessuno dei Governi che si sono succeduti in questi anni ha trovato soluzioni al ritardo strutturale e agli sprechi che nel corso degli anni hanno impoverito il Paese. E nessuno è stato in grado di traghettare l’Italia fuori dalla crisi, per noi più pesante e più lunga di quella di altri.

Da poco più di un anno abbiamo un nuovo Governo – il sessantaquattresimo nei settanta anni di storia repubblicana! - che ha promesso grandi riforme, modernizzazione, nuove regole e un paese normale.

Non possiamo negare che alcune cose siano state fatte e che altre si stiano cercando di costruire: dopo i famosi e discussi 80 euro, l’Esecutivo ha lavorato alla riforma del mercato del lavoro, una novità importante che ci auguriamo aiuti la ripresa occupazionale introducendo meccanismi elastici e meritocratici, senza intaccare i diritti di chi lavora con noi e per le nostre aziende.

Il Governo ha messo mano alla scuola, ha approvato un nuovo sistema elettorale ed è impegnato in una riforma dello Stato interessante, con grandi cambiamenti che interessano il bicameralismo e il titolo V della Costituzione. Sono interventi che riteniamo necessari se non fondamentali per la modernizzazione del Paese, che devono rendere più efficiente il processo decisionale e - aspetto mai secondario - ridurre drasticamente la spesa pubblica, che nonostante i proclami continua inesorabilmente a crescere anno dopo anno.

Quando si opera su temi tanto importanti è difficile trovare un consenso assoluto. Così, non tutti sono d’accordo sui risultati raggiunti e sui cambiamenti introdotti.

Sappiamo che il mondo dei sindacati contesta con forza il jobs act, che gli insegnanti protestano per le novità che li riguardano e che non tutti condividono le scelte fatte per il sistema elettorale e la riorganizzazione delle competenze di Stato e Regioni.

Molti propongono ricette differenti, ma molte scelte sono state fatte e non possiamo che attendere i risultati, sperando che siano positivi, perché è in gioco il futuro del Paese.

Le mie parole non sono un sì all’azione del Governo. Tante decisioni che ci riguardano sono per nulla o poco condivisibili e poco o nulla viene fatto per combattere la demagogia e il populismo tipici dei nostri tempi.

Si continuano a sostenere tesi anti industriali e si trascura il fatto che le nostre imprese, più di altre sono state capaci di contenere i danni della crisi. Che più di altre sono riuscite a garantire livelli di occupazione sostanzialmente stabili. Che continuiamo ad approvvigionarci di tutto il latte italiano disponibile, mentre sarebbe più facile ed economico percorrere strade alternative. Che – anche nei momenti più difficili – non abbiamo abbassato la guardia, e abbiamo continuato a portare sulle tavole degli Italiani prodotti di qualità, a prezzi per quanto possibile convenienti.
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Ci saremmo aspettati quindi una maggiore riconoscenza da parte del mondo agricolo e delle istituzioni. E invece…
… invece, quando dopo un periodo di quotazioni record del latte alla stalla (non dimentichiamo mai che il prezzo medio liquidato nel 2014 è stato il più alto degli ultimi quindici anni) la scorsa estate, la tendenza dei mercati mondiali ha cambiato segno e sono arrivati segnali ribassisti, è ricominciata la consueta caccia all’untore.
E la politica ci ha lasciati soli. Peggio, ci ha isolato.
Senza ascoltare la nostra voce, la nostra opinione, le nostre idee sulle possibili iniziative da porre in essere per affrontare la delicata contingenza, si è deciso di intervenire a gamba tesa sui rapporti agricoltura/industria. Quel che più grave e che – in barba alle promesse di cambiamento – lo si è fatto dando voce solo ai soliti noti, a chi pretende di stabilire, da solo, le regole del gioco e non comprende che il suo atteggiamento conservatore e conservativo fa male alle imprese. Anche a quelle agricole.

Non siamo stati ascoltati neanche quando abbiamo chiesto di risolvere una volta per tutte l’atavico problema dei rimborsi IVA. E non avremmo voluto leggere la legge sul reverse charge, una vera e propria forzatura normativa a danno delle nostre imprese, fortunatamente bocciata dalla Commissione europea.
Non possiamo essere contenti anche per tante cose che non sono state fatte.

Avremmo apprezzato una forte spinta progettuale per il futuro della filiera del latte, rimasta orfana delle quote latte, ma non l’abbiamo vista.

Avremmo voluto assistere ad iniziative volte alla riduzione dei costi di produzione che gravano sulle imprese, quelli energetici quelli dell’autotrasporto, quelli della burocrazia.

Ci saremmo attesi un totale cambio di passo sui temi della capacità competitiva e dell’armonizzazione normativa, una radicale semplificazione e modernizzazione delle regole che porterebbe grandi benefici al sistema produttivo italiano.

So bene che si tratta di temi delicatissimi e spesso impopolari. E so che è più facile continuare a percorrere la strada del facile consenso, piuttosto che cercarne di nuove.

Ci vorrebbe più coraggio e determinazione, perché su queste sfide si gioca il futuro delle imprese alimentari che ancora lavorano in Italia. Perché, se non arriveranno risposte ed aperture saranno ancora tante le aziende che saranno costrette a chiudere i propri impianti in Italia e a traslocarli dove si dimostra più sensibilità verso le esigenze delle imprese e l’innovazione e dove si lavora per facilitare non per ostacolare la vita di chi produce e crea ricchezza.

Si pensa davvero che in un prossimo futuro potremo confrontarci sui mercati mondiali usando le sole armi della qualità dei prodotti e della fama del made in Italy?

Me lo auguro. Ma non sono tanto ottimista.
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Diciamo spesso che noi imprenditori dobbiamo esserlo, sempre e comunque.

Di recente, però ho riflettuto su una frase di Roch de Chamfort, uno scrittore francese del ‘700, che paragonando l’atteggiamento di chi va per mare ai differenti modi con cui l’uomo affronta la vita scrisse che – al pari del marinaio – il pessimista si lamenta del vento cattivo, l’ottimista aspetta che cambi, il realista aggiusta le vele.

Ecco, forse dobbiamo imparare ad essere più realisti. Dobbiamo smettere di lamentarci del vento cattivo o di attendere quello buono. Dobbiamo pretendere che chi è alla guida del Paese si impegni per regolare meglio le vele. Anche perché il vento cambia di continuo.

È cambiato in Italia, dove siamo testimoni di un epocale mutamento delle abitudini di acquisto e di consumo.

È cambiato in Europa, dove – come ho detto – con la fine delle quote latte i Paesi che mordevano il freno sono ora liberi di produrre quanto gli aggrada e di proporsi come fornitori, non solo di commodities – che non sono nelle corde della nostra tradizione casearia – ma con prodotti di largo consumo, convenienti e di qualità ogni giorno migliore.

È cambiato in tanti Paesi del resto del mondo, anche in quelli che per decenni abbiamo considerato “in via di sviluppo” e che sono diventati mercati molto più che promettenti, che fanno crescere la domanda mondiale a tassi importanti.

Limitarsi ad essere ottimisti e pensare che la spinta del “vento buono” ci farà vincere le sfide globali non ci porterà lontano. E non andremo lontano neanche se ci limiteremo a lamentarci del vento cattivo.

Dobbiamo imparare ad essere più presenti e più propositivi per portare ovunque la nostra voce, la voce di chi fa impresa e crea lavoro e ricchezza.
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In questo panorama di grandi cambiamenti, credo di poter affermare che abbiamo fatto un buon lavoro.

Abbiamo lavorato bene sui temi normativi. Le nuove regole di etichettatura entrate in vigore alla fine del 2014 non ci hanno trovato impreparati perché Assolatte ha risposto a centinaia di quesiti delle aziende sui temi più disparati e ci ha aggiornato in modo tempestivo con appunti, circolari, approfondimenti e ben tre seminari con esperti nazionali e comunitari. Ci resta l’amaro in bocca per non aver potuto smaltire gli imballi che avevamo in azienda e siamo stati costretti a portare in discarica, quintali di materiale e soldi gettati via, senza una ragionevole motivazione.

Credo che abbiamo fatto un buon lavoro nell’assistenza quotidiana alle aziende che esportano. Se il numero di Paesi sui quali riusciamo a far arrivare i nostri prodotti aumenta i problemi si moltiplicano e sempre più spesso ci rivolgiamo ad Assolatte per capire come affrontare gli innumerevoli ostacoli burocratici con cui dobbiamo confrontarci. Esportare in Paesi lontani è difficile. Ci piacerebbe che venissero rimossi almeno gli ostacoli interni e sentire le istituzioni vicine quando portiamo i nostri formaggi nel mondo.

Sempre in tema di export abbiamo dato un importante contributo alle trattative che l’Unione europea sta intessendo con tanti possibili partner. Dopo il Canada, che come ricorderete si è chiuso con un importante aumento dei quantitativi di formaggio che possiamo esportare liberamente, stiamo lavorando al tanto discusso TTIP. L’accordo è ancora in discussione ed è accompagnato dalle pesanti polemiche di chi teme che la qualità dei prodotti europei possa uscire sconfitta dalle mediazioni che sono necessarie per giungere ad un’intesa. Noi siamo convinti che se cadessero alcune barriere potremmo migliorare di molto la nostra presenza aldilà dell’oceano. Senza dimenticare che la mancanza di un accordo favorisce altri Paesi e lascia irrisolti alcuni problemi che ci stanno molto a cuore, come la tutela del made in Italy e delle Indicazioni geografiche.

Il Governo si è posto un traguardo importante: aumentare del 50% il valore delle nostre esportazioni alimentari nei prossimi 5 anni, sfondando così il tetto dei 50 miliardi di euro. Noi diciamo che questo obiettivo è raggiungibile solo se si individuano i Paesi obiettivo, si seleziona la gamma di prodotti che possono arrivarci, si coordinano gli investimenti per la crescita e si lavora per far conoscere meglio le differenze tra il vero made in Italy e quello che made in Italy non è.

L’accordo che abbiamo firmato con Fiere di Parma ha permesso un ulteriore miglioramento di Cibus – manifestazione che ritengo abbia confermato le nostre aspettative – e ha dato il via al Padiglione CibusèItalia, dove abbiamo portato i più famosi marchi alimentari italiani, che – altrimenti – non avrebbero avuto nessuno spazio ad Expo. Se non lo avete ancora fatto, vi invito davvero a fare un giro all’esposizione: ne vale la pena! Girando tra i padiglioni ci si rende conto di quante grandi culture si confrontino oggi sul mercato mondiale. Di quanti concorrenti reali o potenziali abbiamo di fronte. E ci si rende conto che l’atteggiamento del nostro Paese in materia di cibo è un po’ provinciale e - certo non per nostra responsabilità - quantomeno folkloristico.

Abbiamo fatto un ottimo lavoro nell’attività di comunicazione e immagine del settore e dei prodotti, diramando decine di comunicati stampa, rilasciando interviste, partecipando a molte trasmissioni televisive e radiofoniche, raccontando il nostro mondo e i nostri prodotti. Abbiamo inviato a giornalisti e medici le nostre newsletter “Lattendibile” e pubblicato decine di articoli interessanti su Il Mondo del latte, la nostra rivista che ancor più che in passato è piaciuta ai lettori. E poi abbiamo organizzato e gestito la terza edizione del premio giornalistico Assolatte, raccogliendo articoli, proponendo temi di discussione, preparando testi e selezionando il meglio di quello che è stato scritto e pubblicato. Un lavoro lungo faticoso, che facciamo con entusiasmo. Io credo che dovremmo investire di più in questa attività che è una vera e propria diga contro la cattiva informazione che circola.

Da alcune settimane, poi, lavoriamo al rinnovo del Contratto nazionale del lavoro. Le persone che lavorano al nostro fianco sono una delle ricchezze delle nostre aziende. Diciamo sempre che il made in Italy è quello che nasce nei nostri stabilimenti e vorremmo che anche i nostri dipendenti – dagli operai ai dirigenti – fossero orgogliosi dei successi che mietiamo nel mondo. Nelle prossime settimane lavoreremo con le altre associazione per trovare un punto di incontro e come sempre, valuteremo le loro richieste. Ci aspettiamo, però, un forte senso di responsabilità da parte delle loro rappresentanze sindacali. Gli ultimi anni sono stati accompagnati da periodi di deflazione. Lavoriamo insieme, quindi, per mantenere elevati i livelli occupazionali, valorizziamo che il made in Italy nasce nelle nostre aziende grazie ad un sapere fare unico, e diamoci da fare perché questo saper fare si tramandi alle nuove generazioni, creando occasioni di lavoro e di crescita professionale. Noi siamo pronti a fare la nostra parte e contiamo sulla loro disponibilità a capire le nostre ragioni.
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Cari Soci, cari Amici,

le sfide che ci aspettano sono importanti e abbiamo tanto lavoro da fare.

Continueremo a lavorare per affermare la nostra missione e i nostri valori, perché siamo intimamente convinti che un Paese è forte solo se investe e crede in chi fa impresa e che la ricchezza di un popolo dipende da quanto è forte la sua componente produttiva.

Prima di passare agli altri punti all’ordine del giorno e ai festeggiamenti per il nostro settantenario, in questa occasione di incontro così importante per la nostra associazione permettetemi di rivolgere un pensiero, affettuoso e riconoscente a tutti quelli che ci hanno permesso di arrivare fin qui: a chi ha fondato o guidato le nostre aziende prima di noi; a chi ha lavorato e lavora al nostro fianco per il progresso e la crescita del nostro settore e delle nostre imprese. Migliaia di persone, operai, impiegati, dirigenti, imprenditori che hanno sempre messo nel loro lavoro passione, professionalità, impegno.
Insieme a loro abbiamo raggiunto traguardi importanti: abbiamo migliorato la qualità dei nostri prodotti e la loro sicurezza, abbiamo sviluppato idee che hanno fatto crescere le nostre aziende e imparato a conoscere mercati sempre più lontani.

Insieme, abbiamo superato ostacoli che sembravano insormontabili. Abbiamo anche perso alcune battaglie, ma sempre combattendole a testa alta con l’orgoglio di chi sa di rappresentare la parte buona e produttiva del Paese.

Grazie quindi a tutti loro e grazie a tutti voi, che siete qui a testimoniare il vostro affetto e la vostra amicizia per la nostra Associazione.


Giuseppe Ambrosi



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