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Il Mondo del Latte

L'EDITORIALE DE IL MONDO DEL LATTE

12-10-2016

Ottobre 2016


Nel novembre 1989 cadeva il Muro di Berlino. Tutti pensammo alla fine di un’epoca e che da quel momento in poi idee, persone e merci avrebbero circolato in un mondo più libero. Sono passati quasi trent’anni da quel momento, anni di crescita per tutto il nostro mondo, e un nuovo sentimento sta mettendo radici: il neo protezionismo.

Ne parla anche Angelo Panebianco in un interessante editoriale sul Corriere della Sera, nel quale fa un’ampia riflessione sul clima generale che si respira nel Paese, analisi che possiamo trasferire pari pari al settore agroalimentare.

La lunga crisi economica che ha colpito il Vecchio Continente, gli attentati dell’Isis, l’arrivo quotidiano in Europa di migliaia di profughi, spaventano tutti, soprattutto la gente comune. I demagoghi, di destra o di sinistra che siano, hanno vita facile: non hanno soluzioni e si limitano a individuare fantomatici colpevoli, sui quali concentrano le paure della folla. Un atteggiamento poco responsabile, che regala però grande visibilità.

Forse, l’esempio più eclatante di questo sentimento neo protezionista – che dovrebbe preoccupare tutti – è stato il voto degli inglesi sulla Brexit: dal suo ingresso nella Comunità europea, il Regno Unito è stato uno dei grandi protagonisti delle politiche comuni. Ha sempre fatto sentire la propria voce. Ha inciso in modo determinante sulle decisioni chiave. Sempre portando a casa risultati importanti, non solo in termini economici. Sono bastati pochi mesi di campagna demagogica per allontanare gli inglesi dai loro principi fondanti: liberismo, apertura dei mercati, globalizzazione, integrazione, multiculturalità. Addirittura ora vogliono costruire un nuovo muro a Calais.

Credo che gli stessi sentimenti protezionistici, cavalcati con medesima demagogia, siano da tempo il leitmotiv delle politiche agroalimentari dell’Italia.

Siamo uno Stato di grandi trasformatori. In tutti i settori, o quasi, siamo diventati famosi per la nostra capacità di utilizzare in modo eccellente le materie prime che compriamo in Italia e nel resto del mondo. Esportiamo prodotti che valgono il doppio o quasi di quelli fatti negli altri Paesi.

La ricchezza che portiamo alla nazione in termini di lavoro e di tasse ha favorito lo sviluppo dei territori, la nostra crescita è ricchezza anche per i nostri fornitori, agricoli o industriali che siano. Siamo ottimi clienti: compriamo tutto quello che c’è da comprare e lo paghiamo più degli altri.

Dovremmo essere trattati con i guanti bianchi. Invece, in questi tempi di crisi e di paura, al posto di favorire la nostra capacità industriale con una strategia d’attacco, che ci permetta di continuare a crescere sul mercato globale come abbiamo sempre fatto, si preferisce la via della difesa, per salvaguardare l’orticello di pochi, usando proprio l’arma della demagogia, sfruttando le paure della gente comune.

E l’industria cosa fa? Continua a lavorare, ma partecipa poco o per nulla ai grandi movimenti che stanno cambiando il nostro Paese. Fa sentire poco la sua voce, mentre dovrebbe alzarla.

Bisogna cambiare rotta, perché queste politiche neoprotezioniste avranno effetti nefasti. Gli economisti di buon senso lo sanno e lo dicono da tempo. Peccato che tutti li trattino da Cassandre.

 
Adriano Hribal


 
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