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Il Mondo del Latte

L'EDITORIALE DE IL MONDO DEL LATTE

14-12-2016

Dicembre 2016


Tra qualche giorno entreranno in vigore anche in Italia le nuove norme per l'etichettatura di origine di latte e derivati.

Se n'è parlato tanto in questi mesi: le organizzazioni agricole - in particolare Coldiretti - ne hanno fatto quasi una guerra di religione, hanno sostenuto che i consumatori hanno il diritto di sapere dove compriamo il latte che usiamo per fare i nostri formaggi, hanno giocato la carta del falso made in Italy, hanno raccolto firme con metodi "alla Catalano" di arboriana memoria, organizzato manifestazioni, convinto i nostri beneamati governanti della necessità di arrivare a queste nuove regole, con un produttivo scambio di "sì".

Noi siamo stati prudenti nelle dichiarazioni e siamo molto perplessi sui contenuti del decreto e sugli obiettivi che si vorrebbero raggiungere. Ci sembra assurdo imporre alle aziende italiane regole che non valgono per i concorrenti che esportano i loro prodotti nel nostro Paese, anche perché quello che importiamo bell'e pronto è tre volte quello che facciamo in Italia con latte estero. Crediamo che un Paese che non riesce a produrre le materie prime di cui ha bisogno, ma è capace di esportare sempre più prodotti made in Italy, dovrebbe valorizzare ancor di più e meglio la sua capacità di trasformare.

Estremizzare le politiche del territorio può trasformarsi in un terribile autogol.

Diciamo che le regole per bloccare il falso made in Italy ci sono e che basterebbe farle rispettare. In modo pragmatico, guardiamo i dati sui consumi e vediamo che i prodotti che già indicano l'origine delle materie prime non stanno andando meglio di quelli che non lo fanno, anzi, semmai è vero il contrario.

Cerchiamo di spiegare che è assurdo costringere le imprese a rivedere i propri incarti ogni anno (sì, perché ce n'è sempre una): significa mandare al macero contenitori e imballi di ottima qualità, sprecare un fiume di denaro che potrebbe essere investito meglio.

Abbiamo posizioni chiare e trasparenti, ma pochi ascoltano le nostre tesi, perché la demagogia mediatica stravolge la verità dei fatti.

Anche se il dogma imperante (perché come tale viene gestito) è che non possiamo essere competitivi, perché i costi del nostro Paese sono superiori a quelli degli altri e nulla si può fare per cambiare le cose, la strada giusta è quella di far crescere la capacità competitiva del nostro sistema.

Fare impresa in Italia è sempre più difficile, la produzione industriale segna il passo e la fantomatica ripresa sembra sempre più una chimera.

Adriano Hribal


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