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Attualità

BURRO: UN PIACERE SENZA CONFINI

15-03-2012

Cambia la geografia dei consumi di burro: la maggior diffusione tra i consumatori si registra al sud, mentre al nord si concentrano sia i suoi fans sia coloro che non lo utilizzano


Addio alla storica contrapposizione tra la civiltà del burro dell'Italia settentrionale e cultura dell'olio dell'Italia meridionale?

Stando ai risultati dell'indagine demoscopica (allegata) condotta da AstraRicerche per conto di Assolatte, sembrerebbe proprio di sì: nelle regioni del Sud si registra la quota più alta di consumatori di burro (81,6% della popolazione contro il 76,8% di media nazionale) mentre in quelle del Nord c'è la percentuale maggiore di italiani che ha rinunciato al burro (27,5% nel Nord-ovest contro il 23,2% della media nazionale e il 18,4% del sud).

Se, invece, si analizza la frequenza di utilizzo del burro allora lo scenario torna più simile a quello tradizionale: i forti consumatori, ossia coloro che mangiano il burro da 1 a più di 7 volte a settimana, vivono soprattutto al nord (14,5% contro l'11,4% di media nazionale), mentre nell'Italia meridionale predomina una minor frequenza di consumo (il 32,3% lo usa da 1 a 3 volte al mese contro il 22,9% della media nazionale).

"Siamo di fronte a una vera e propria revanche del burro, che deriva sia dalle sue caratteristiche organolettiche spesso connesse al piacere (di mangiare e - più in generale - di vivere), sia al contributo a volte straordinario che il burro dà alla preparazione di taluni cibi e ricette - spiega il sociologo Enrico Finzi, che ha curato l'indagine - Da pochi anni, poi, il burro si è 'moltiplicato', per effetto della crescente informazione circa la varietà dei tipi di burro, per gusto e per apporto nutrizionale, tanto che si può parlare di progressivo passaggio dal burro ai burri".

Un fenomeno confermato anche dalla sintesi degli orientamenti sociali sul burro scaturiti dall'indagine AstraRicerche. Infatti, nell'ultimo decennio è decisamente cresciuta la percentuale di italiani che apprezza questo prodotto, arrivata oggi al 47% della popolazione. Si tratta di ben 15,7 milioni di 15-70enni, tra i quali emergono 5,2 milioni definibili come fans entusiasti. Con una curiosità: sono i ceti più abbienti e colti a guidare la recovery dell'immagine del burro, anche al di fuori della sua tradizionale area di diffusione.

Inoltre per 17,1 milioni di italiani il burro si colloca nell'area del piacere e dell'edonismo orale. Con un 'di più' curioso: per 10,9 milioni il consumo di burro dà evidenti benefici psicologici, fungendo da prodotto alimentare ansiolitico, rasserenante e antistress.

La verità è che il consumare burro, specie se lo si fa con una certa frequenza, si connette con il benessere psico-fisico (+7% sulla media) e ancor più con l'equilibrio esistenziale (+14% sulla media). "Inoltre, a totale smentita di chi vive e racconta il burro come obsoleto e arcaico, i suoi forti consumatori hanno una forza della personalità maggiore della media del 10%. Il che lascia prevedere che il rilancio del burro tenderà ad estendersi anche perché trainato dagli 'opinion leader diffusi', ossia da coloro che influenzano gli altri, fanno tam tam e attivano fenomeni 'virali'" conclude Finzi.

Addio alla storica contrapposizione tra la civiltà del burro dell'Italia settentrionale e cultura dell'olio dell'Italia meridionale?

Stando ai risultati dell'indagine demoscopica (allegata) condotta da AstraRicerche per conto di Assolatte, sembrerebbe proprio di sì: nelle regioni del Sud si registra la quota più alta di consumatori di burro (81,6% della popolazione contro il 76,8% di media nazionale) mentre in quelle del Nord c'è la percentuale maggiore di italiani che ha rinunciato al burro (27,5% nel Nord-ovest contro il 23,2% della media nazionale e il 18,4% del sud).

Se, invece, si analizza la frequenza di utilizzo del burro allora lo scenario torna più simile a quello tradizionale: i forti consumatori, ossia coloro che mangiano il burro da 1 a più di 7 volte a settimana, vivono soprattutto al nord (14,5% contro l'11,4% di media nazionale), mentre nell'Italia meridionale predomina una minor frequenza di consumo (il 32,3% lo usa da 1 a 3 volte al mese contro il 22,9% della media nazionale).

"Siamo di fronte a una vera e propria revanche del burro, che deriva sia dalle sue caratteristiche organolettiche spesso connesse al piacere (di mangiare e - più in generale - di vivere), sia al contributo a volte straordinario che il burro dà alla preparazione di taluni cibi e ricette - spiega il sociologo Enrico Finzi, che ha curato l'indagine - Da pochi anni, poi, il burro si è 'moltiplicato', per effetto della crescente informazione circa la varietà dei tipi di burro, per gusto e per apporto nutrizionale, tanto che si può parlare di progressivo passaggio dal burro ai burri".

Un fenomeno confermato anche dalla sintesi degli orientamenti sociali sul burro scaturiti dall'indagine AstraRicerche. Infatti, nell'ultimo decennio è decisamente cresciuta la percentuale di italiani che apprezza questo prodotto, arrivata oggi al 47% della popolazione. Si tratta di ben 15,7 milioni di 15-70enni, tra i quali emergono 5,2 milioni definibili come fans entusiasti. Con una curiosità: sono i ceti più abbienti e colti a guidare la recovery dell'immagine del burro, anche al di fuori della sua tradizionale area di diffusione.

Inoltre per 17,1 milioni di italiani il burro si colloca nell'area del piacere e dell'edonismo orale. Con un 'di più' curioso: per 10,9 milioni il consumo di burro dà evidenti benefici psicologici, fungendo da prodotto alimentare ansiolitico, rasserenante e antistress.

La verità è che il consumare burro, specie se lo si fa con una certa frequenza, si connette con il benessere psico-fisico (+7% sulla media) e ancor più con l'equilibrio esistenziale (+14% sulla media). "Inoltre, a totale smentita di chi vive e racconta il burro come obsoleto e arcaico, i suoi forti consumatori hanno una forza della personalità maggiore della media del 10%. Il che lascia prevedere che il rilancio del burro tenderà ad estendersi anche perché trainato dagli 'opinion leader diffusi', ossia da coloro che influenzano gli altri, fanno tam tam e attivano fenomeni 'virali'" conclude Finzi.