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Il Mondo del Latte

L'EDITORIALE

03-08-2017

Agosto 2017


Qualche giorno fa, con una grande manifestazione a Roma, Coldiretti e alcune sigle del mondo sindacale, consumerista e ambientalista, hanno protestato contro il Ceta, l’accordo di libero scambio che dovrebbe facilitare le relazioni commerciali con il Canada.

Per il momento nessuno può dire quale sarà il destino dell’accordo (tutti i Paesi dell’Unione europea devono dare il proprio via libera definitivo all’intesa, altrimenti il Ceta non sarà valido) e non è mia intenzione entrare nel campo minato delle polemiche.

Non vi nascondo, però, che la protesta mi ha molto sorpreso. Prima di tutto per la tempistica. Come tutti gli accordi internazionali, la firma del Ceta non è stato un fulmine a ciel sereno. I negoziati che hanno portato all’intesa sono cominciati nel 2009 e sono andati avanti per cinque lunghi anni.

Nell’agosto di tre anni fa tutti gli Stati hanno ricevuto la documentazione con i contenuti dell’accordo. Senza dimenticare che, prima di arrivare sul tavolo dei singoli parlamenti degli Stati membri, l’accordo è passato al vaglio del Parlamento europeo, che lo ha approvato con il 60% dei voti. Scorrendo la lista di partiti, si scopre che tutto o quasi il mondo dei cosiddetti “moderati” ha valutato positivamente l’accordo.

Vista la durata del processo decisionale, chi non era d’accordo avrebbe potuto e dovuto far sentire la propria voce prima, quando forse facendo squadra si sarebbero potute chiedere modifiche e integrazioni ai documenti in discussione. Ora è tardi. E chi pensa di poter intervenire sui testi, sbaglia. I singoli Stati membri sono chiamati a dire “sì” o “no”, non hanno nessun’altra possibilità.

La seconda cosa che mi lascia perplesso sono alcune delle ragioni della protesta, in particolare le polemiche sui prodotti Dop.

Su questo tema devo fare una premessa: per molti anni abbiamo cercato nel Wto di ottenere soddisfazione sulla tutela delle Dop e combattuto una dura battaglia, sostenendo che la tutela delle Indicazioni geografiche aveva pieno diritto di rientrare nel capitolo della tutela della proprietà intellettuale.

Che ci piaccia o no (e a noi non piace), quella battaglia l’abbiamo persa!

L’Europa ha dovuto prendere atto della sconfitta e ha cambiato strategia, puntando sulla tutela del consumatore negli accordi di libero scambio: sostenendo, cioè, che il consumatore deve essere correttamente informato su quello che compra. È chiaro che in questo modo il panorama di riferimento è molto più limitato e la negoziazione si concentra solo sui prodotti che davvero possono confondere il consumatore di questo o di quel Paese. In sintesi, sui prodotti più importanti o comunque più esportati.

Ed è chiaro che – come in tutte le negoziazioni – non si porta a casa tutto quello che si chiede. Anche perché le richieste europee devono confrontarsi con quelle di chi lavora con regole diverse. E nessuno può pensare di imporre le proprie regole a casa degli altri.

Assolatte ha sempre detto che il Ceta è un buon accordo. Comunque, è il migliore degli accordi possibili con il Canada. Ci abbiamo lavorato e stiamo continuando a lavorarci, perché i problemi non sono tutti risolti (il tema della distribuzione delle quote è un punto chiave per le nostre imprese).

E siamo ottimisti: senza regole abbiamo già conquistato una posizione chiave sul mercato canadese (siamo i più importanti esportatori europei e a livello mondiale siamo secondi solo agli Usa). Inoltre, siamo sicuri che i nostri imprenditori, grazie alle nuove regole e alle nuove quote a dazio zero, sapranno affermarsi ancora di più sul mercato nordamericano.

 
Adriano Hribal

 
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