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Il Mondo del Latte

L'EDITORIALE DE IL MONDO DEL LATTE

07-05-2018

Maggio 2018


È notizia di pochi giorni fa che la Commissione europea ha trovato la quadra, approvando le regole che scrivono le modalità di indicazione dell’origine dei prodotti e dei loro ingredienti nel mercato europeo.

Finiranno ora le polemiche su un tema che ha occupato pagine di giornali, portato a manifestazioni e raccolte firme, provocato discussioni e contrapposizioni all’interno di tante filiere? Speriamo!

La notizia la aspettavano in tanti: noi per primi. E anche se alcuni contestano il risultato raggiunto, sostenendo che si tratta di un passo indietro, credo che il regolamento sia invece un importante salto in avanti. E sono convinto che il regolamento andasse approvato prima, per bloccare le tante iniziative nazionali che hanno messo a rischio il principale punto di forza dell’Europa: essere un mercato unico.

Con il regolamento europeo abbiamo raggiunto un traguardo importante, anche di trasparenza nei confronti del consumatore.

Le norme emanate nei vari Paesi, infatti, avevano tutte il medesimo limite: si applicavano solo ai prodotti fatti e destinati al mercato interno. Peccato che l’Europa sia una grande realtà economica e che al suo interno circolino milioni di tonnellate di prodotti, buona parte dei quali, finora, non erano soggetti a regole sull’origine.

Sono queste le ragioni per cui abbiamo contestato le norme italiane: volevamo un comportamento omogeneo nei 28 Paesi dell’Unione. E per questo oggi applaudiamo chi è riuscito a mediare tra le differenti posizioni, ha dedicato ore ad ascoltare gli operatori (tutti, non solo quelli di una parte) e i consumatori. Chi si è scervellato, scrivendo e riscrivendo il testo, cercando soluzioni ai problemi che venivano presentati dalle diverse parti in campo.

Quelli che tanti chiamano eurocrati – mal celando un disprezzo che non condivido – hanno fatto un buon lavoro. E di più non si poteva fare. Le critiche sulla portata del regolamento sono ingenerose e le ipotesi di fissare norme ancor più severe sono naufragate quando, da uno studio europeo che ha coinvolto anche i consumatori, era emerso che imporre l’origine di tutto non aveva senso. I costi sarebbero stati enormi, senza benefici reali per chi acquista. In poche parole: il gioco non vale la candela.

Comunque, con le nuove regole il pallino torna nelle mani degli shopper, che saranno ancora più liberi di scegliere cosa comprare, dando indicazioni a chi produce. E a mio avviso è giusto che sia così.

Quindi tutto bene quel che finisce bene?

Non proprio. A noi resta l’amaro in bocca per il colpo di mano con cui il governo Renzi – poco più di un anno fa – pretese di anticipare i tempi, costringendo le imprese italiane a cambiare in fretta e furia decine di migliaia di incarti, a mandare al macero tonnellate di confezioni e contenitori, chilometri di bobine e film plastici.

Tutto in discarica! Solo perché non si volle pazientare qualche mese, aspettando le regole europee o almeno dando modo alle aziende di utilizzare gli imballaggi che avevano in casa.

Uno vero sfregio: uno sperpero privo di qualunque significato economico e politico.

Senza dimenticare che ora si cambia di nuovo. Le regole europee fanno decadere quelle nazionali e le confezioni devono essere nuovamente cambiate (per fortuna ci sono due anni di tempo per farlo). Come sempre, a spese delle aziende.

Se cambia la forma, comunque, non cambia la sostanza. Anche con le nuove etichette, infatti, i consumatori potranno continuare ad apprezzare la qualità dei nostri prodotti. Fatti da imprese che sanno scegliere benissimo le migliori materie prime, quelle più adatte per prodotti che tutti ci invidiano, con un’ovvia preferenza per il latte nazionale.

Adriano Hribal

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