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Il Mondo del Latte

L'EDITORIALE DE IL MONDO DEL LATTE

02-02-2018

Febbraio 2018


I nostri lettori sanno come la pensiamo sugli accordi che l’Unione europea sta firmando con i grandi blocchi economici.
 

Abbiamo sempre applaudito la firma, consci delle difficoltà insite in intese di così ampio respiro, che abbracciano migliaia di prodotti e servizi. Abbiamo sempre sostenuto che – pur se perfettibili – gli accordi di libero scambio hanno il grande merito di fissare regole comuni, di ridurre i costi, le barriere, le burocrazie, con nuove opportunità per i nostri imprenditori. Tante volte, poi, si è dato un brutto colpo all’italian sounding, permettendo un miglior riconoscimento dei prodotti veramente italiani sugli scaffali del mondo.
 

Pochi giorni fa, però, sono stati diffusi i contenuti dell’accordo Ue/Giappone e non possiamo certo dire la stessa cosa: siamo di fronte al peggiore accordo sulle Dop che potesse essere firmato.
 

Un passo indietro inaccettabile.
 

Non tanto per il numero (dieci) o il tipo di prodotti inclusi nel trattato, ma per le eccezioni previste dall’accordo.
 

Sia chiaro: sapevamo che per chiudere sarebbe stato necessario fare alcune concessioni. Gli imprenditori giapponesi, ad esempio, avevano chiesto di continuare a confezionare i formaggi Dop italiani nei loro stabilimenti per alcuni anni. Immaginavamo che si sarebbe dovuto affrontare il problema del “prior use”: chi prima dell’accordo usava i nomi italiani avrebbe chiesto di farlo ancora per un po’. Avevamo ragionato con gli imprenditori e i consorzi, valutato pro e contro e accettato la convivenza temporanea tra vero e tarocco.
 

Nell’accordo finale, invece, firmato alla chetichella senza informare nessuno, la Commissione ha fatto molto di più e le concessioni sono inaccettabili.
 

In barba a tutto quanto fatto in passato, alle legittime aspettative delle aziende italiane, a sentenze della Corte di Giustizia europea, l’accordo dà definitivamente il via libera a un mondo di falsi. Così sugli scaffali della distribuzione e nei ristoranti di Tokyo, Kyoto e delle altre grandi città nipponiche troveremo Grana prodotto chissà dove, Padano di incerta provenienza, Romano fatto chissà come. Per di più, chiunque potrà far registrare un proprio marchio parmesan.
 

Cosa resta della tutela delle nostre Dop più prestigiose, apprezzate ed esportate nel mondo?
 

Ci chiediamo cosa abbia portato i firmatari a chiudere la negoziazione. E sull’altare di quale altro settore sia stato sacrificato il nostro. A pensare male – diceva Giulio Andreotti – si fa peccato, ma ci si azzecca!
 

La speranza è che Governo e Parlamento europeo dicano di no e rigettino un accordo che – a nostro avviso – è un pessimo precedente e una pesante zavorra con cui le imprese rischiano di dover convivere.
 

 

Adriano Hribal

 

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