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ASSEMBLEA 2017: LETTERA DEL PRESIDENTE

14-06-2017

"Sono molto legato ad Assolatte e a tutti voi. So bene quali risultati potremo raggiungere lavorando insieme."


Gentili Soci, cari Amici,

grazie per essere presenti a questo appuntamento per noi molto importante, che ci permette di confrontarci e di commentare insieme risultati, programmi, obiettivi.

Sono molti anni che ci interroghiamo sul nostro futuro e su quello del nostro Paese, che è anche il futuro dei nostri figli e delle nostre aziende.

Negli ultimi mesi i grandi numeri, quelli che vengono comunemente utilizzati per descrivere l’economia e la ricchezza di un Paese, che incidono in modo determinante sulle decisioni di politica economica, sembrano migliorare, segno, forse, che stiamo uscendo dalla crisi con la quale abbiamo convissuto molti anni.

La strada da percorrere, però, è ancora lunga e irta di difficoltà ed è presto per tirare un sospiro di sollievo.

È evidente, ad esempio, che il Prodotto interno lordo ha ripreso ad aumentare (+0,9 nel 2016), ma non possiamo nascondere che il tasso di crescita del nostro Paese è la metà di quello dell’Eurozona e che la nostra velocità di ripresa è tra le più basse d’Europa.

Possiamo fare analogo discorso sul delicato tema dell’occupazione. Il jobs act ha certamente aiutato le imprese a creare nuovi posti di lavoro, ma c’è ancora molto da fare, se è vero com’è vero che la percentuale di disoccupati in Italia è una delle più alte d’Europa (11,7%). Una situazione grave, che diventa drammatica al Sud o quando si parla di giovani: più del 40% dei ragazzi è senza lavoro.
Non possiamo non essere preoccupati per l’andamento della produzione industriale: anche se registriamo qualche segnale positivo, il tasso con cui cresciamo è di gran lunga inferiore a quello pre crisi. Con questi valori, non andremo lontano e - soprattutto - non riusciremo certo a contribuire alla ripresa quanto potremmo.

Tutto ciò senza dimenticare i consumi, indice implacabile dello stato di salute del Paese: da anni rileviamo una sostanziale stagnazione, con alcuni prodotti, come il latte alimentare che ha registrato un altro calo importante (-15% negli ultimi cinque anni e -3% nel 2017) e una tendenza che sembra penalizzare tutti i prodotti: nell’ultimo trimestre gli acquisti alimentari hanno fatto registrare un preoccupante -1,7%.

Potrei citare tanti altri indicatori del malessere della nostra economia, ma le conclusioni non cambierebbero: la situazione è migliorata, ma è ancora dannatamente critica.
Si risolverà solo prendendo il “toro per le corna”, lavorando cioè alle vere criticità del Paese, prima tra tutte la scarsa competitività, il male che è all’origine di buona parte dei problemi di chi fa impresa o vive in Italia.

In questi anni mi sono confrontato con tanti imprenditori, anche di settori diversi dal nostro. Ne ho parlato alle assemblee ed ho trasferito le nostre preoccupazioni durante i tanti incontri che ho avuto con rappresentanti delle istituzioni nazionali e regionali. Mi sono accorto che - per molti - è un vero e proprio tabù, un argomento liquidato con un’alzata di spalle.

A chi sostiene che non possiamo essere competitivi, dobbiamo rispondere che non è così. Si può fare molto. Lo si deve fare, nell’interesse del Paese.

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Abbiamo il dovere di garantire alle nuove generazioni un futuro sicuro e florido.

Se tanti - in Italia - lo trascurano, il tema competitività è molto sentito in tutto il resto d’Europa, tanto che da qualche anno, la Commissione europea ha costruito un indice il cui scopo è proprio quello di misurarne il livello nei diversi Stati membri.

Si tratta di una sorta di analisi SWOT, che ha lo scopo di confrontare punti di forza e di debolezza degli Stati membri, assegnando un punteggio oggettivo alla qualità delle istituzioni, alla stabilità politica, alle infrastrutture, all’istruzione, all’efficienza del mercato del lavoro, alle dimensioni del mercato, al livello di innovazione e ad alcuni altri parametri.

Ebbene, secondo questo indice, siamo tra i Paesi meno competitivi. E anche le nostre regioni più efficienti - quelle che consideriamo un fiore all’occhiello - si trovano nella parte bassa della classifica, con indici negativi, che peggiorano di anno in anno.

Solo un ascoltatore disattento può ritenere che i fattori presi a riferimento siano scollegati dai nostri problemi quotidiani, perché essi incidono in modo determinante sulla nostra capacità di competere, ognuna delle voci prese in considerazione si tramuta infatti in costi.

Costi che noi abbiamo ed altri no. Costi che ci fanno essere meno competitivi dei colleghi europei. Costi che provocano inefficienze e portano alla chiusura delle imprese. Costi che - purtroppo - stimolano la delocalizzazione, perché è naturale che un’impresa cerchi di ottimizzare i propri investimenti.

Si può rimanere indifferenti di fronte a problemi di tale portata? Si può far finta che il tema non debba essere affrontato anche dalla nostra filiera? Ci si può limitare a rinviare la discussione a “data da determinare”?

Non credo. Abbiamo già perso troppo tempo e molte occasioni. È un lavoro difficile, ma bisogna agire, immediatamente, chiedere interventi urgenti e concreti.

È nostro dovere dirlo e farlo!

Il paese va modernizzato, le strutture migliorate, la burocrazia semplificata, i rapporti tra pubblica amministrazione e imprese completamente rivisto, la tassazione ridotta, l’evasione fiscale combattuta con ogni mezzo, il mercato del lavoro e dell’energia resi più efficienti ed economici.

Abbiamo un disperato bisogno di riforme che semplifichino la nostra vita di imprenditori e di cittadini.
Se pretendiamo - com’è giusto - di sedere al tavolo dei Grandi, se ci vantiamo di essere una delle economie più avanzate ed industrializzate del pianeta, allora dobbiamo abbandonare molte delle logiche del passato.

Logiche fatte di piccoli e grandi poteri che fanno leva sui favoritismi. Logiche che portano a sprechi inaccettabili di risorse e di ricchezza, che ci hanno portato sull’orlo del default. Abbiamo bisogno di un Paese attento alle nostre necessità e di un’Europa più presente, forte, decisa, che abbandoni i timori che abbiamo visto in questi mesi e che acceleri sugli ideali dei suoi padri fondatori, gli stessi che poche settimane fa abbiamo ricordato festeggiando i 60 anni del trattato di Roma.

Con fatica siamo arrivati ad avere un mercato unico, una risorsa eccezionale per tutti: cittadini e imprese. Un mercato che conta mezzo miliardo di persone. Più della metà dei cittadini europei utilizza la stessa moneta. È quindi inaccettabile che le istituzioni comunitarie latitino su temi chiave legati alla concorrenza, su argomenti che influenzano la vita delle nostre imprese.

I localismi e i protezionismi contraddicono l’essenza stessa del mercato unico e vanno bloccati sul nascere.

Se siamo una Comunità dobbiamo avere regole comuni. Dobbiamo chiederlo senza ambiguità e senza ipocrisie: se diciamo “no” alle etichette semaforiche inglesi, perché per noi sono una misura protezionistica, non possiamo poi fare fughe in avanti su aspetti come l’etichetta di origine o le altre regole nate solo per proteggere il mercato interno.

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Viviamo purtroppo in un Paese a due velocità.
 
Da un lato troviamo una Politica che troppo spesso si comporta in modo ozioso e fazioso, rinuncia ad assumere il ruolo di guida illuminata che le compete e preferisce inseguire il consenso di minoranze urlanti invece che comprendere e risolvere i problemi della maggioranza silenziosa dei cittadini.

Dall’altro lato abbiamo il mondo delle imprese, che non possono che correre, adeguando prodotti e servizi alle richieste che arrivano dal mercato, seguendo la domanda dei consumatori che cambia anche molto in fretta. Chi produce e crea valore aggiunto è la vera ricchezza di questo Paese, una ricchezza che merita di essere valorizzata e tutelata.

L’agroalimentare è una delle locomotive che trainano il Paese e con i nostri prodotti siamo capaci di moltiplicare il valore delle materie prime che utilizziamo. Pretendiamo maggiore attenzione, di dire la nostra. Di essere ascoltati!

Vogliamo parlare dei successi che stiamo inanellando nel mondo?

I prodotti che escono dai nostri stabilimenti sono sicuri e di grande qualità. Le nostre aziende creano occupazione e ricchezza e portano valore al territorio.

Le esportazioni hanno battuto un nuovo record, sfiorando il tetto delle 390 mila tonnellate. Il valore di quello che esportiamo supera i 2 miliardi di euro e il saldo commerciale dei nostri formaggi galoppa verso i 900 milioni di euro. Abbiamo raggiunto traguardi che dieci anni fa sembravano inarrivabili.
In qualunque altra parte del mondo verremo presi ad esempio, c’è poco da dire.

Qui, invece, tanti non solo non riconoscono i nostri primati, fatti di idee, non solo di capacità produttiva, ma addirittura cercano di appropriarsene!

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La mente corre a quanto accaduto lo scorso anno, durante i difficili mesi vissuti dal nostro settore.

I prodromi erano chiari a tutti: la fine delle quote latte, i grandi investimenti nord europei volti a migliorare la competitività delle loro filiere latte in vista della liberalizzazione produttiva, la progressiva crescita della produzione, l’imprevisto calo degli scambi globali e - certo non da ultimo - l’elefantiaca lentezza con cui si discuteva del problema senza individuare nessuna soluzione, fosse solo tampone.

Siamo stati trai primi a dire che era in arrivo una “tempesta perfetta”, che avrebbe creato gravi scompensi e problemi al settore.

Abbiamo chiesto di istituire una cellula di crisi, per concordare misure ed interventi per limitare i danni al settore. Nessuno ha risposto al nostro appello.

Nei momenti più difficili, le nostre aziende hanno fatto molto di più del dovuto, riconoscendo ai propri conferenti cifre superiori a quelle di mercato. Non è bastato.

È scesa in campo la politica, quella con la “p” minuscola, che invece di giocare la carta della mediazione, di esercitare il suo ruolo di guida, ha preferito cavalcare la protesta, scaricando su di noi responsabilità che non avevamo.

Sono giunti attacchi sui media, critiche, interrogazioni parlamentari, norme sempre più restrittive per limitare la nostra libertà imprenditoriale. Come se non bastasse è arrivata una denuncia all’antitrust, che - è bene ricordarlo - ha ritenuto corretto il nostro comportamento ed ha condiviso molte delle nostre idee!
È facile giocare allo scaricabarile, piuttosto che rimboccarsi le maniche, oppure imbastire una riflessione sulle cause dei problemi e sui costi del sistema provocati da uno Stato che non funziona. Facile cercare un capro espiatorio.

Molti di noi hanno letto i libri del signor Malaussène, il simpatico personaggio nato dalla penna di Daniel Pennac, che per sbarcare il lunario accetta di fare - di mestiere - il capro espiatorio in un grande magazzino. Ebbene, noi non siamo il signor Malaussène, di nessuno!

Siamo disponibili al dialogo, ad ascoltare e condividere i problemi della filiera, a cercare ogni possibile soluzione, ma le decisioni devono essere sensate e non devono danneggiare le nostre aziende e - di conseguenza – il sistema Italia.

Più di duemila anni fa, Orazio scriveva: Quos ultra citraque nequit consistere rectum (Vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto).

Lo scorso anno si è andati molto al di là del giusto.

Siamo coscienti del fatto che il lavoro che proponevamo e che continuiamo a proporre è complesso, ma siamo convinti che se mai cominceremo a studiare, insieme, i rivoli nei quali si perdono valore e ricchezza, fin quando non faremo un’analisi completa ed imparziale dei costi di ogni anello della catena produttiva, fin quando - insieme - non chiederemo di eliminare quelli inutili, la situazione non cambierà.
E continueremo a subire il mercato mondiale; a vivere in modo drammatico le crisi che ciclicamente caratterizzano il nostro mondo.

Continueremo a mettere a rischio le nostre produzioni, compromettendo il futuro della nostra filiera e dei nostri figli.

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Anni difficili, di tempesta, quindi. Ma anche durante i momenti più difficili, non siamo stati alla finestra aspettando che le turbolenze passassero.

La nostra vita di imprenditori ha continuato a scorrere. Abbiamo investito nuove risorse nei nostri stabilimenti, abbiamo ulteriormente perfezionato i nostri prodotti, lanciandone di nuovi, abbiamo lavorato sulla logistica e sui costi, abbiamo aperto nuovi mercati anche molto lontani, aumentato la nostra capacità esportativa.

Allo stesso modo, anche Assolatte, la nostra associazione ha lavorato su tanti temi, contribuendo al successo delle nostre aziende, con un attività quotidiana e certosina. Ci è stata a fianco durante l’indagine antitrust, dimostrando che i nostri comportamenti erano e sono corretti e coerenti con il mercato, che non siamo speculatori.

Ha fermato le spinte di chi ha cercato di imporci prezzi minimi garantiti sul latte alla stalla, oppure indici non coerenti con il mercato.

È stata preziosa per il nostro export, aiutandoci nella complicata burocrazia necessaria ad arrivare su mercati sempre più lontani e con regole molto diverse da quelle europee e lavorando come preziosa interfaccia tra le nostre aziende e le autorità sanitarie.

Ha portato la nostra voce ai tavoli dove si discute di accordi di libero scambio, facendo valere le nostre idee e rappresentando la nostra posizione. Molti dei risultati ottenuti nell’accordo di libero scambio con il Canada sono frutto anche dell’attività di Assolatte sulle autorità europee.

Si è fatta carico dei nostri problemi aziendali, rispondendo ai tanti quesiti che arrivano dalle nostre aziende, facendo chiarezza su molte intricate questioni interpretative, sempre al nostro fianco, con una costante e preziosa attività professionale.

Ha ottenuto significativi cambiamenti nella norma sull’etichettatura di origine obbligatoria di cui tanto si parla in questi giorni. Senza gli interventi della nostra associazione avremmo mandato in discarica tonnellate di merce che siamo riusciti in buona parte ad utilizzare.

Ha portato avanti tante pregevoli iniziative come il premio giornalistico Assolatte, la newsletter l’Attendibile, decine di comunicati stampa che ci hanno permesso di parlare delle moltissime cose positive del nostro settore e dei nostri prodotti. O ancora come l’accordo di collaborazione con i NAS, un impegno importante che ci permette di lavorare insieme nell’interesse dei consumatori. Senza dimenticare la positiva collaborazione con Cibus.

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Cari Amici, cari Soci, cari Ospiti,

questa relazione ha per me un valore speciale: oltre a chiudere un impegnativo triennio, suggella il mio impegno a ricoprire la carica di Presidente per un nuovo mandato.

Inutile nascondervi che sono molto orgoglioso che mi abbiate confermato la fiducia. Orgoglioso, ma anche emozionato, per la delicatezza dell’incarico che sto assumendomi, un incarico che arriva in un momento storico molto complesso.

Credo che in questi anni, con il delegato della Presidenza, i Vicepresidenti, la Giunta e il Consiglio abbiamo fatto un buon lavoro.

Abbiamo fatto molto e molto vogliamo fare con i nuovi Consiglieri.

Andremo avanti lungo il solco già tracciato, lavorando su temi diventati strategici: rappre-sentanza, servizi alle imprese e comunicazione.

Sul fronte dei servizi abbiamo intenzione di implementare l’attività di Assolatte a favore delle aziende esportatrici. Con un mercato nazionale sostanzialmente maturo, il futuro si gioca sui mercati esteri. È quindi giusto che l’Associazione si doti di nuovi strumenti in tal senso.

L’altro tema è quello della comunicazione. Avrete notato che negli ultimi mesi abbiamo già implementato le iniziative (il progetto con l’Università cattolica e il gruppo di Fornari, il corso di formazione per i giornalisti e quello con i NAS, i comunicati stampa, l’attività con i medici, il premio giornalistico ecc.), ma sono convinto che si possa fare di più, anche perché da alcuni mesi l’attenzione dei media sembra essersi moltiplicata.

È in corso un vero e proprio “assalto alla diligenza”. Chiunque produca alimenti a livello industriale - qualunque alimento - è periodicamente sottoposto ad attacchi da parte di gruppi più o meno organizzati.
Sotto le false spoglie del giornalismo di inchiesta, vengono tirati in ballo temi etici, sociali, ambientali, economici, in un frullato di falsità che getta discredito su quello che esce dalle aziende industriali. E gli attacchi sono sempre più frequenti.

Ma questo non è giornalismo, è sensazionalismo, una comunicazione costruita ad arte che forza i toni con il solo scopo di catturare il telespettatore ed aumentare la share. Lo descrive bene uno studio presentato dall’Osservatorio di Pavia - un istituto di ricerca indipendente specializzato nell’analisi dei media - che ha illustrato il meccanismo di comunicazione sempre più spesso riservato ai nostri prodotti. Si intervista uno scienziato o un operatore dissidente, il cui parere deve essere contrario a quelli prevalenti della comunità scientifica (dipinta quest’ultima come al soldo dell’industria).

Così, comportamenti regolari e prodotti che fanno parte delle abitudini alimentari di tutti vengono dipinti come fraudolenti, quando non addirittura pericolosi per i consumatori. E i potenti mezzi della rete amplificano a dismisura il messaggio, per costruire una percezione negativa dei prodotti industriali. Dei nostri prodotti. Quando anche un osservatorio internazionale di grande prestigio - Bloomberg - ha da poco certificato la leadership del nostro paese in materia di salute, qualità e sicurezza alimentare.

Purtroppo, prima che la verità si sia alzata e messa i pantaloni, la menzogna avrà fatto almeno il giro del mondo (Winston Churchill). 

Per cercare di contrastare queste iniziative, peraltro sempre più frequenti, abbiamo deciso di organizzare una presenza continua di un nostro rappresentante alle trasmissioni televisive, radiofoniche e sulla stampa. E abbiamo cominciato a lavorare con un’agenzia specializzata ad un progetto di monitoraggio, formazione e relazioni media.

Faremo il possibile per essere presenti in modo continuo e sistematico ai principali appuntamenti televisivi, portando la voce del settore e delle aziende associate, rispondendo colpo su colpo agli attacchi.
È un progetto ambizioso, che richiederà il coinvolgimento di tutti voi: vi invito a supportare i nostri portavoce.

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Cari Soci, cari Amici,

in questi anni ho imparato a conoscere l’Associazione e credo di aver svolto il mio ruolo con passione e con tenacia, dedicando molto tempo alla vita associativa.

Sono molto legato ad Assolatte e a tutti voi. So bene quali risultati potremo raggiungere lavorando insieme.

Con gli anni ho imparato molte cose ed ho capito che è necessario cambiare marcia.
Ho quindi intenzione di modificare la nostra struttura, per non concentrare su poche persone troppe decisioni e responsabilità.

La prossima riunione di Consiglio, che si terrà tra pochissimi giorni, quindi, non servirà solo a nominare la Giunta, ma anche a costruire un nuovo modus operandi, con un sistema che prevede precise deleghe ai nuovi Consiglieri.

Le deleghe riguarderanno tutti i temi più importanti della nostra vita imprenditoriale ed associativa ed hanno un forte valore etico. I delegati, infatti, dovranno operare per il sistema, individuando le possibili soluzioni ai problemi, con ricadute positive per tutto il settore.

Una forte assunzione di responsabilità che - mi auguro - servirà a dare slancio all’attività di Assolatte.
Lavorerò quindi con i nuovi Consiglieri per individuare a chi assegnare le deleghe e gli esperti che affiancheranno i Consiglieri delegati.

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Cari Amici, cari Soci,

prima di chiudere questa mia prolusione, che è anche l’abc del mio programma per il prossimo triennio, permettetemi di ringraziare tutti quelli che hanno lavorato con me durante questo triennio. Un grazie ai vicepresidenti Antonio Auricchio, Gigi Prevosti e Guido Zanetti.

Un grazie ad Adriano Hribal, mio prezioso consigliere, un grazie alla Giunta, al Consiglio, al Direttore e a tutti i collaboratori di Assolatte.

Il mio grazie va anche al Presidente di Federalimentare: ci ha aiutato molto su alcuni temi e sta lavorando per una migliore visibilità dell’industria alimentare. Bisogna andare avanti con il lavoro iniziato e nella riforma della Federazione. Con il suo aiuto e quello delle altre associazioni, poi dovremo lavorare anche al riposizionamento del settore alimentare all’interno di Confindustria.

Un grazie infine a tutti voi e un augurio alle vostre famiglie.

Ad maiora!