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Assemblea

ASSEMBLEA 2016: LETTERA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE AMBROSI

20-06-2016

"Dobbiamo essere interpreti del cambiamento e imparare ad essere motore e non rimorchio del nostro stesso mondo"


Cari Soci, cari Amici,
 
eccoci di nuovo a Milano, dopo la grande assemblea dei settant’anni che abbiamo festeggiato a Roma con una splendida manifestazione.
 
È passato un anno, ma la situazione economica generale e quella del nostro settore non è mutata.
 
Anche se continuiamo a vederne pallidi segnali, la ripresa che tutti promettono non arriva e le previsioni vengono sistematicamente smentite dai fatti: la crescita reale è inferiore a quella prevista e sul fronte dei consumi non si registrano sostanziali miglioramenti.
 
Se volessimo essere ottimisti dovremmo affermare che da due anni il nostro Paese ha finalmente ripreso a crescere, mostrando un aumento del PIL (+0,8% nel 2015) e un calo del tasso di disoccupazione (-9,45%). Ma dobbiamo essere realisti e constatare che la media degli aumenti registrati in quasi tutti i Paesi concorrenti è superiore di quella italiana.
 
La macchina economica è sì partita, ma con fatica e con lentezza, e il gap che ci separa dagli altri grandi player dell’economia rischia di allargarsi in modo pericoloso.
 
Del resto, i dati sulla produzione industriale parlano in modo fin troppo chiaro di un settore manifatturiero in difficoltà: tra il 2007 e il 2015 l’Italia ha perso il 23% della propria capacità produttiva e l’aumento registrato lo scorso anno (+1,6%) è davvero ben poca cosa.
 
Si dirà che l’alimentare va meglio: nel periodo della grande crisi la produzione alimentare è calata solo (e sottolineo il solo) del 3,7% e che pertanto la ripresa dovrebbe essere più facile. Una ben magra consolazione: beati monoculi in terra caecorum.
 
E se i numeri del settore lattiero caseario sono leggermente differenti, non è certo qualche decimale a cambiare lo stato delle cose: viviamo momenti molto difficili!
 
Lo avevamo previsto e lo avevamo detto, perché le avvisaglie c’erano tutte. Purtroppo, il nostro grido di allarme non è stato ascoltato; la sola preoccupazione dei più era il progressivo passaggio delle quotazioni del latte a valori più vicini al mercato. Al posto di pensare alle cause della malattia, cioè, tutti hanno preferito concentrarsi esclusivamente sui sintomi.
 
Già a fine 2014, il mercato aveva lanciato messaggi di inversione di tendenza e la crisi russo-ucraina con il conseguente blocco delle importazioni dei prodotti europei ha solo velocizzato i tempi e ingigantito i problemi.
 
Poi è arrivato il 31 marzo 2015. Una data che tutti conoscevamo da tempo. Infatti, la decisione di chiudere definitivamente il capitolo quote risale al lontano 2003. Ci sarebbe piaciuto festeggiare! Sappiamo bene, infatti, che il regime delle quote ha danneggiato la filiera italiana del latte perché i quantitativi che ci furono assegnati erano di gran lunga inferiori alle potenzialità dei nostri allevamenti e ai nostri livelli di consumo.
 
La fine delle quote è invece stato un vero e proprio colpo di grazia, perché anche se tutti conoscevano l’”ora x” pochi in Italia hanno pensato di prepararsi a questo appuntamento epocale. Nessuno ha creduto a chi aveva preannunciato che con la liberalizzazione sarebbe partita una vera e propria corsa agli armamenti da parte di Paesi più reattivi, dinamici e competitivi del nostro.
 
Continuare a negarlo è inutile e deleterio: per affrontare la liberalizzazione, la sola strada possibile si chiama competitività. Sono cose – anche queste – che abbiamo detto tante volte ed è inaccettabile che si continui a sostenere il contrario, a dire che sarebbe sbagliato percorrerla, che noi non possiamo puntare sulla capacità concorrenziale, perché dobbiamo specializzarci solo sulla qualità dei nostri prodotti, come se qualità e quantità non fossero coniugabili. Come se gli altri Paesi europei non fossero in grado di darci filo da torcere sulla qualità, grazie anche a Innovazioni tecnologiche sempre più facilmente esportabili e riproducibili.

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Le difficoltà del momento vengono peggiorate dall’allarmante stato dei consumi.
 
Il più danneggiato continua ad essere il latte alimentare, che anche lo scorso anno ha registrato una contrazione notevole. Situazione meno grave ma altrettanto preoccupante la vivono lo yogurt, il burro, i formaggi. Prodotti che mostrano vendite sostanzialmente stagnanti e si confrontano con due differenti forze, entrambe ribassiste: da un lato la sistematica crescita della pressione promozionale, dall’altro il progressivo aumento dei prodotti che arrivano bell’e pronti dall’estero, che hanno quote di tutto rispetto sugli scaffali della distribuzione, con un trend che dimostra che i nostri colleghi d’oltralpe sono in grado di esportare in Italia prodotti che il grande pubblico apprezza e compra.
 
So bene che parliamo di prodotti che non possono vantare il plus dell’italianità, ma resta il fatto che in tutto il settore alimentare cresce la domanda di alimenti più economici di quelli che siamo in condizione di garantire. È un segmento sempre più grande che noi non possiamo presidiare e che siamo costretti a lasciare agli altri, senza neanche combattere.
 
Il tutto per la mancanza di capacità competitiva delle nostre filiere.
 
I numeri che i Presidenti dei Gruppi merceologici ci hanno presentato dovrebbero far riflettere, non tanto noi – che li conosciamo bene e li viviamo sulla nostra pelle – quanto chi continua a non capire quanto sia difficile la nostra situazione e ci chiede di intervenire a sostegno di un settore agricolo in crisi.

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Siamo la forza motrice del settore, ma vogliono a tutti i costi disegnarci in maniera negativa. Vi faccio qualche esempio, attingendo ai fatti più recenti.
 
In tutto il mondo il prezzo del latte diminuisce drasticamente? Veniamo immediatamente chiamati affinché “l’industria si comporti in modo responsabile”. Che poi vuol dire che dobbiamo pagare i nostri fornitori più di quanto il mercato consente, anche se facendolo metteremmo a rischio le nostre aziende. Se non lo facciamo, prima veniamo aspramente criticati, poi – nel silenzio assordante delle istituzioni, che addirittura smettono i panni di arbitri per vestire quelli di tifosi – arrivano le manifestazioni e i blocchi degli stabilimenti che ci impediscono di lavorare. E se – sotto ricatto (non trovo altri termini per definire boicottaggi e assedi davanti ai cancelli) – accettiamo prezzi fuori mercato, dicono che avremmo dovuto fare di più.
 
Gli allevatori decidono di produrre più di quanto chieda il mercato? Nonostante la difficile situazione dei consumi, ci facciamo carico di buona parte degli incrementi e riorganizziamo la raccolta. Ecco che veniamo sollecitati a comperare tutto quanto prodotto. Se non lo facciamo, ci accusano di preferire latte estero di scarsa qualità e che le nostre decisioni “sono finalizzate a distruggere la filiera del latte italiana”. Se poi alcuni di noi accettano di accontentare la richiesta, ecco che “speculano sui prezzi”.
 
Vogliamo parlare delle leggi emanate con il preciso scopo di interferire sulle relazioni contrattuali, che vorrebbero imporci prezzi minimi – in barba alle norme sulla concorrenza –, oppure dei contributi elargiti a pioggia, che tamponano per brevi periodi i problemi agricoli, ma non risolvono le cause della loro scarsa capacità competitiva. O ancora della denuncia all’Antritrust, che ci ha assolti a formula piena, respingendo al mittente tutte le accuse che ci erano state sollevate, o, infine, delle continue minacce di riscrivere le norme regionali per impedirci di accedere a risorse che invece ci spetterebbero.
 
Tutto ciò disegna intorno a noi un’atmosfera fortemente negativa, che fa male alle nostre aziende e alla nostra immagine. E le conseguenze ricadono su tutta la filiera, lo dimostra il sentiment generale che porta le persone ad allontanarsi dai nostri prodotti o ad acquistarli con sospetto.
 
Noi non siamo antagonisti del mondo agricolo, anzi! Sarebbe ora di capire che continuando su questa strada si mette a rischio la sopravvivenza di un sistema produttivo che è ben diverso da quello che viene presentato, che porta redditi a tutta la filiera e crea occupazione e ricchezza nei territori dove opera.
Lavorando insieme e all’interesse di tutti sarebbe possibile affrontare la sfida del ritardo strutturale con cui ci confrontiamo. Perché non si decide di farlo e si preferisce andare avanti con le liturgie trite e ritrite del passato?
 
Ci sorprende anche che parte non trascurabile della Grande Distribuzione, che ben conosce la realtà dei fatti e che è il nostro partner d’eccezione, non ci aiuti a chiarire lo stato delle cose. Addirittura, talvolta, si lascia influenzare dall’imperversante deriva populista.
 
Noi continuiamo a sperare – a costo di illuderci – che prima o poi si imbocchi una strada nuova, abbandonando la demagogia che da anni regna sovrana e si facciano scelte proiettate al futuro e non al passato. Casomai guardando a quello che succede altrove.
 
Forse alcuni criticheranno le nostre parole. Non sarebbe la prima volta, purtroppo, che le nostre posizioni vengono strumentalizzate. Ma continuando ad ignorare la voce di chi ha fatto grande il sistema lattiero caseario italiano, degli imprenditori che hanno saputo trasformare la tradizione artigianale in un atout per il Paese, si perpetua un grave errore.

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Tutte le menzogne ripetute diventano verità (François-René de Chateaubriand).
 
È evidente che il metodo utilizzato dai signori della propaganda che riguarda il food italiano si basa sulla ripetizione sistematica di pochi concetti, falsi ma credibili, che fanno presa nella pancia delle persone.
 
Ciò ha progressivamente portato ad una vera e propria involuzione della cultura alimentare italiana, trasformata – come troppi temi chiave della politica e dell’economia – a spettacolo di massa, con chef milionari trasformati in mâitre à penser che dispensano analisi sul futuro del nostro sistema produttivo e dissertano su argomenti la cui complessità neanche immaginano.
 
Sembra quasi che il futuro del sistema dipenda dalle produzioni di nicchia, dagli orti urbani, dai mercati rionali, dalle fiere di paese e non dalle grandi produzioni industriali di qualità che le nostre aziende hanno fatto conoscere in tutto il mondo.
 
Il rischio concreto è che altri si impossessino di medaglie che abbiamo conquistato con il sudore della nostra fronte. Non glielo permetteremo! Perché siamo noi che abbiamo reso grande il made in Italy alimentare e perché senza di noi la filiera del latte non avrebbe alcun futuro.

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Un anno difficile, quindi, con rapporti istituzionali intensi ma non sempre caratterizzati dalla necessaria serenità.
 
Non vorrei però fare di tutta l’erba un fascio e che il 2015 fosse archiviato come un anno interamente negativo, perché - pur se in un uno scenario complesso - abbiamo comunque ottenuto alcuni risultati importanti.
 
Partendo da Expo, che ci ha permesso di incontrare le culture di tutto il pianeta, di confrontarci con realtà molto differenti dalla nostra. Abbiamo dato il nostro contributo al Padiglione del Museo della scienza e della tecnologia di Milano e siamo stati i protagonisti del padiglione CibusèItalia, dove abbiamo presentato i nostri marchi, con discreto successo di pubblico ed ottimi risultati per i nuovi contatti che abbiamo avviato. La kermesse – nel suo insieme – è stata una grande festa e un successo di pubblico, anche se non ha consentito di approfondire i temi chiave del futuro alimentare del nostro pianeta.
 
E a proposito di successi, permettetemi di ricordare l’ultimo Cibus, a detta di molti la migliore edizione di sempre, che quest’anno ha confermato che avevamo visto giusto sottoscrivendo l’accordo di partnership. Senza ombra di dubbio, Cibus è la più importante fiera del made in Italy alimentare. In vista della prossima edizione lavoreremo fianco a fianco con la Fiera per migliorare alcuni aspetti (primo tra tutti la viabilità) e stiamo collaborando per la nascita di un format innovativo – Cibus Connect – che si terrà negli anni dispari.
 
Molto bene è andato l’export, le cui perfomance ci inorgogliscono e ci entusiasmano: anche lo scorso anno abbiamo chiuso con un aumento record (+10%) che ci ha permesso di superare le 360 mila tonnellate e i 2,2 miliardi di euro. Ogni anno – grazie al nostro lavoro – apriamo nuovi mercati in Paesi sempre più lontani. Ciò comporta difficoltà crescenti e ci conferma che bisogna stringere i tempi per chiudere le intese alle quali da tempo stiamo lavorando. Non mi riferisco solo al TTIP, che i soliti “signor no” chiedono di insabbiare senza comprendere i benefici che deriverebbero dall’intesa, ma a tutti gli altri tavoli la cui chiusura – che deve portare a regole nuove e specifici sistemi di controllo che ne garantiscano il rispetto – faciliterebbe molto la nostra attività di imprenditori.
 
Abbiamo accolto con soddisfazione la chiusura dell’indagine conoscitiva dell’Autorità antitrust, che non si è fatta intimorire dalle pressioni, ha ascoltato le nostre ragioni e le nostre tesi, concludendo che abbiamo operato nel pieno rispetto delle norme e che non abusiamo del nostro ruolo. Archiviando la pratica, inoltre, non ha trascurato di evidenziare le falle della filiera – le stesse che anche noi chiediamo di tappare –, dando suggerimenti sul da farsi, stigmatizzando peraltro alcuni comportamenti delle organizzazioni agricole.
 
Sempre in tema di relazioni contrattuali, ci siamo opposti con convinzione alla norma che voleva imporci il pagamento del latte sulla base dei costi agricoli.
 
Siamo intervenuti sulla Commissione europea evidenziando i limiti di un approccio in netto contrasto con la normativa sulla concorrenza. E – pur condividendone alcuni principi di fondo – abbiamo impedito che venisse definito un meccanismo unico di indicizzazione del prezzo del latte alla stalla, che sarebbe stato un ritorno al passato con prezzi di riferimento che non considerano l’eterogeneità della nostra realtà e che l’Autorità Antitrust ritiene in contrasto con le regole della concorrenza.
 
Lunga, faticosa, ma anche fruttuosa è stata la trattativa con le Organizzazioni sindacali dei nostri lavoratori, che ha portato ad un rinnovo del Contratto nazionale che ci permette di programmare i costi per un periodo sufficientemente lungo e che speriamo dia serenità a chi lavora nelle nostre aziende.
 
Abbiamo aggiunto nuovi tasselli alla nostra attività di comunicazione, sviluppando nuovi temi e coinvolgendo altri esperti, ai quali abbiamo chiesto di testimoniare l’importanza di latte e derivati per la corretta alimentazione e di aiutarci a contrastare la cattiva informazione, che purtroppo regna sovrana. Credo che su questo si debba continuare a lavorare perché è un tema chiave per il nostro settore. Si moltiplicano infatti i falsi scienziati che – per motivi talvolta addirittura pittoreschi – invitano ad escludere latte e formaggi dalla dieta e che purtroppo trovano spazio crescente anche in televisione.
 
Contrastare queste mode alimentari è difficile, perché spesso utilizzano strumenti e un linguaggio per nulla istituzionali. Ci siamo confrontati più volte anche con il Ministero della salute e con il MIPAAF chiedendo loro di uscire allo scoperto, per ribadire il ruolo di latte, burro, formaggi e yogurt e per smentire le innumerevoli bufale in circolazione. Da alcuni giorni è in onda una campagna interamente finanziata dal Ministero delle politiche agricole, che nasce proprio dalle nostre richieste e che speriamo possa contribuire ad un’informazione più corretta.
 
A proposito di rapporti con i Ministeri, ricordo il Protocollo di intenti siglato presso il MIPAAF, che – per quel che ci riguarda – dovrebbe servire ad aprire una riflessione sulle ragioni della scarsa competitività della filiera e sul fardello normativo che pesa sulle imprese che producono e trasformano latte. Noi insistiamo sul fatto che per semplificare la nostra attività di impresa bisognerebbe partire dall’abrogazione di molti inutili vincoli, ma ogni volta che proviamo a farlo si grida alla lesa maestà e tutto resta com’è. Quando casomai ci riusciamo, si fa rientrare dalla finestra quel che poco prima è uscito dalla porta. Ci auguriamo che il tavolo della semplificazione parta davvero e faccia il proprio lavoro con serietà e senza pregiudizi.
 
Con il Ministro Lorenzin – alla quale va il nostro sincero ringraziamento per la sensibilità che sempre dimostra per i nostri prodotti – abbiamo sottoscritto due importanti protocolli che ci riguardano direttamente: il primo sulla comunicazione e l’altro sul miglioramento delle qualità nutrizionali di alcuni nostri prodotti. Anche se latte, formaggi e yogurt sono alimenti quasi perfetti è giusto – quando possibile – migliorarli ancora, venendo incontro alle richieste dei consumatori. Siamo lieti ed orgogliosi della stima e della fiducia che ci viene dimostrata dal Ministero della salute, che ci ha anche coinvolto in momenti di incontro molto importanti come la Prima giornata della donna.
 
E parlando di rapporti con i differenti Dicasteri, ci auguriamo che l’arrivo del Ministro Calenda possa dare nuovo slancio al Ministero dello sviluppo economico, quello che riteniamo la casa d’eccezione delle nostre istanze. Speriamo che con la guida del nuovo Ministro il MISE venga rafforzato per assumere un ruolo chiave non solo in tema di export, ma in tutte le politiche agroalimentari del Paese.
 
Abbiamo poi confermato la nostra collaborazione con i Carabinieri dei NAS, con i quali lavoriamo oramai da diversi anni nell’interesse dei soci e dei consumatori. Una collaborazione fatta di stima reciproca, che ci onora e che speriamo di sviluppare sempre meglio.
 
Un lavoro intenso ed impegnativo, affiancato dall’attività quotidiana degli uffici, fatta di circolari, notiziari, di consulenze e pareri ad personam che i nostri collaboratori danno ogni giorno. E poi la rivista Il Mondo del latte, diventata voce autorevole degli imprenditori, i siti web, che abbiamo ancora perfezionato perché siano sempre più visitati, L’attendibile, i comunicati stampa, il Premio Giornalistico Assolatte, i cui risultati saranno comunicati tra poco nella parte pubblica.
 
Insomma, un anno vissuto intensamente, con tante soddisfazioni e altrettante delusioni dipese dalla solita scarsa sensibilità del paese verso chi fa industria. Un sentimento con il quale da sempre ci confrontiamo e che è davvero difficile smontare.

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Noi andiamo avanti con impegno e con passione, perché siamo convinti che prima o poi le nostre ragioni industriali prevarranno e saranno ascoltate.
 
Da soli, però, sarà difficile ottenere i risultati sperati.
 
Continueremo quindi a lavorare a stretto contatto con i Consorzi, ai quali abbiamo affidato la tutela dei nostri formaggi più famosi e prestigiosi. Molti di noi partecipano attivamente alla gestione di queste strutture e credo che sarebbe auspicabile – oltre che efficace – lavorare insieme non solo ai grandi temi della tutela internazionale delle Indicazioni Geografiche – argomento che ci vede già perfettamente sinergici – ma, anche, ad alcuni temi orizzontali, per contrastare ad esempio le iniziative antimilk che si riverberano su tutti i derivati del latte.
 
Ci auguriamo poi di avere un forte aiuto da Federalimentare, che con una struttura molto più snella del passato e la guida del nuovo presidente sta cercando di mettere al centro del dibattito politico temi chiave per l’economia del nostro Paese. In effetti i nostri problemi e i nostri interessi sono comuni a quelli degli imprenditori degli altri settori.
 
Speriamo che anche Confindustria – con il nuovo Presidente al quale facciamo i nostri migliori auguri – sappia interpretare meglio del passato il suo ruolo. Abbiamo apprezzato e facciamo nostre le parole del Presidente Boccia nel suo discorso di insediamento, soprattutto quando ha messo il dito sulle molte piaghe della nostra economia, esortando il Governo Renzi a fare le “cose difficili che rientrano nel suo disegno di azione politica ma che appaiono ancora sullo sfondo”, dalla riforma della pubblica amministrazione, alla spending review, fino ai tagli ai prelievi fiscali e contributivi: l’Italia deve crescere e può farlo solo mettendo le imprese in condizione di essere traino del Paese. Ci aspettiamo quindi che Viale dell’Astronomia, la casa di tutti noi, scenda finalmente in campo per contrastare gli innumerevoli attacchi ai valori industriali dei quali siamo portatori e dia un contributo fattivo al recepimento delle nostre istanze.
 
Un appello, infine, anche a tutti voi, cari amici. Per far sentire la nostra voce è necessario l’impegno di ognuno di noi. Non rimettiamo ad altri – e ai nostri uffici – responsabilità che ci appartengono. Non dobbiamo aver paura di far sentire la nostra voce, anche quando può sembrare stonata o serve a dire cose che sembrano impopolari. Dobbiamo cioè essere protagonisti del cambiamento.
 
Per usare le parole dello scrittore inglese Gilbert Chesterton “non abbiamo bisogno di una Chiesa che si muova col mondo, abbiamo bisogno di una Chiesa che muova il mondo”.
 
Dobbiamo cioè essere interpreti del cambiamento e imparare ad essere motore e non rimorchio del nostro stesso mondo.

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Casi Soci e cari Amici,
 
in chiusura del mio intervento, permettetemi di ringraziare il Consiglio, la Giunta, i Vicepresidenti, il delegato della Presidenza e tutti i nostri collaboratori.
Vi garantisco che non sono ringraziamenti dovuti, ma sentiti. Vivendo ogni giorno la vita dell’associazione ho la fortuna di condividere con tutti loro i problemi, le tensioni ai quali sono sottoposti, ma anche di apprezzarne impegno, passione e professionalità.
 
Un grazie anche a tutti voi, per la fiducia che mi accordate e un augurio a voi e alle vostre famiglie.
 
Giuseppe Ambrosi